Lavorare negli Accademici: L’occupazione di un Professore


Questa foto mostra una classe vuota che rappresenta il lavoro di un professore a Hanover. Penso che sia un lavoro importante perché le occupazioni a Hanover ruotano intorno a Dartmouth. Nella foto, non c’e nessuno – né uno studente né un professore – perché il lavoro di un accademico cambia costantemente. Le lezioni, le aule, e gli studenti che seguano le classi cambiano ogni termine. Questo fa il lavoro di un professore eccitante; non due semestri sul lavoro sono gli stessi.

La Forma dell’Erudizione

La forma di Lavoro

  Questa pittura rappresenta il lavoro dei professori e degli studenti. Lo spettatore concentra sulle forme delle persone e non guarda molto al fondo. I colori semplici fanno le forme importante, e il colore invertito taglia i dettagli inutili. Il insegnamento fuori spiega della relazione tra il insegnamento e la natura, ed anche tra il lavoro e la vita quotidiana.

L’Intervista con Graziella Parati

Julia Vallone

Intervista di Professoressa Graziella Parati

La Professoressa Graziella Parati e’ nata in Italia. Lei si e’ laureata all’ Universita’ di Milano nel 1992 e dopo ha ottenuto un PhD dalla Northwestern University. Oggi, lei e’ un docente al Dartmouth College dove insegna letteratura comparata, studi di genere, e lingue. Soprattutto, la Professoressa Parati dedica la sua vita allo studio dell’immigrazione. In quest’intervista, La Professoressa Parati descrive la sua esperienza a Hanover e discute gli effetti dell’immigrazione che sentiamo qui.

La Professoressa Parati e’ seduta di fronte a me, sul divano nel suo ufficio. Lei comincia l’intervista con un sorriso sulla faccia e un caffé in mano.

JMV: Che cosa l’ha portata a Hanover?

GP: Io sono a Hanover da venti-quattro anni. Sono venuta nel 1991 perche’ Dartmouth mi ha offerto un lavoro. Io ero ancora una graduate student a Northwestern… avevo una parte della mia dissertation scritto. Quindi sono venuta a Hanover per un anno, ho avuto il titolo di Instructor e ho finito la tesi. E dopo nel 1992, sono diventata “Assistant Professor.” Quindi sono proprio venuta per lavoro.

JMV: Di che cosa si occupa? Specificamente, quali corsi ha insegnato?

GP: Ho insegnato tantissime classi in venti-quattro anni.

JMV: Ma all’inizio…?

GP: All’inizio ho insegnato molte lingue, e poi mi hanno assunto per insegnare il diciottesimo e il ventesimo secolo. Quindi ho insegnato soprattuto quei secoli, e poi corsi dedicati ad altri temi.

JMV: Quale le e’ piaciuto di piu’?

GP: Allora, non mi ricordo i corsi di ventiquattro anni fa, ma ora mi piace molto insegnare i corsi di cultural studies. Mi piace insegnare corsi che contengono un po’ di storia dell’arte, un po’ di politica, un po’ della storia… I corsi che toccano argomenti molti diversi.

JMV: Lei ha mai insegnato in Italia?

GP: Si, quando ero all’universita’ insegnavo inglese alle scuole serali.

JMV: C’era una differenza tra l’insegnamento qui e li?

GP: Si. Alla scuola serale io avevo studenti che avevano fallito in tutte le altre scuole. Quindi la scuola serale era l’ultima possibilita’ per loro di avere almeno un pochino di istruzione. C’erano corsi per segretarie (e segretari), c’erano corsi per meccanici, e c’erano corsi per elettricisti. Io dovevo insegnare un po’ di inglese in queste classi e era completamente diverso della questa universita’. Qui hai persone che vogliono imparare, li hai persone che volevano sapere il minimo indispensabile per continuare la loro vita. Anche li c’erano gli studenti che avevano tantissimi problemi. Molto spesso erano drogati… avevo qualche prostituta in classe.

JMV: Mio dio… Dov’era questa scuola?

GP: Vicino a Milano.

JMV: Va bene. Continuiamo… Ho visto su internet che ha scritto due libri e molti articoli sul tema dell’immigrazione, un soggetto rilevantissimo oggi nel mondo. Posso chiederLe un paio di domande su questo argomento?

GP: Si, certo.

JMV: Cosa pensa dell’immigrazione ad Hanover? Lei pensa che gli stranieri qui (gli studenti, i professori, i lavoratori) abbiano un effetto positivo o negativo su Hanover?

GP: La diversita’ ha sempre effetti positivi in qualunque posto. Hanover e’ un posto molto particolare… Un luogo veramente strano. Quindi c’e’ la diversita’ che si trova all’interno dell’ universita’ inevitabilmente, perche’ hai studenti e docenti, proveniente da tutto il mondo. E poi tu hai questo New Hampshire molto particolare che non ha cosi tanti immigrati come altre parti degli Stati Uniti. Non siamo lontani da New York City ma e’ gia un ambiente diverso. Main, New Hampshire, Vermont sono gli stati piu’ “bianchi” degli Stati Uniti, quindi e’ un po’ artificiale ma anche e’ inevitabile, perche’ siamo in questo angolino degli Stati Uniti. Quando io sono diventata cittadina, c’erano solamente due messicani (che e’ stranissimo, vero) due brasiliani, io ero l’unica italiana, e la maggioranza c’erano canadesi. Quindi qui hai un panorama degli Stati Uniti che e’ singolare… Non corrisponde proprio alle altre parte.

JMV: Interessante. Quindi — Con i problemi che esistono in Italia, specificamente riguardo all’ondata incredibile degli immigrati, Lei consiglierebbe un italiano di venire a Hanover? Perche’?

GP: Ci sono parecchi Italiani qui all’universita che fanno dottorati di ricerca oppure sono docenti che hanno studiato in altre universita’. In questo momento, ci sono tra novanta e cento mila italiani che lasciano l’Italia ogni anno. E’ un numero grande e molti vanno all’estero perche’ hanno gia’ un certificato universitario, e quindi vogliono continuare a studiare in un contesto in cui ci sono piu’ fondi per l’istruzione. Io inviterei certo gli italiani a venire a Dartmouth e a Hanover… Ma solo se vengono perche’ hanno gia’ un lavoro. Trovare un lavoro non e’ un processo semplice qui.

JMV: Se Lei potesse, tornerebbe in Italia oggi per vivere?

GP: No.

JMV: Perche’?

GP: Perche’ io vado spesso in Italia, e in un certo senso io vivo da entrambe le parti. Ho vissuto piu’ fuori dall’Italia che in Italia.

JMV: Davvero?

GP: Si. Perche’ io ho vissuto venti quattro anni in Italia e ho vissuto trentun anni fuori dall’Italia. Io sono stata in Italia per venti quattro anni, e dopo in inghilterra per due anni, e finalmente mi sono trasferita qui. Quindi la definizione di dove sia casa e’ molto complicata. Io mi sento a mio agio sia qui sia in Italia ma mi sento anche molto a mio agio in altri paesi dove ho viaggiato. Sopratutto mi sento a mio agio in paesi dove si parla inglese perche’ e’ la lingua con cui mi trovo piu’ a mio agio oltre all’Italiano. Quindi mi sento a casa in Australia, mi sento a casa in Nuovo Zelanda, conosco bene Gran Bretagna… Ma non ho nostalgia per alcun posto.

JMV: No? Neanche l’Italia?

GP: No. Per niente. E quando sono in Italia non ho nostalgia per gli Stati Uniti… Quindi sono un po’strana.

JMV: No… Lei e’ una donna del mondo.

GP: Ecco, sono d’accordo.

JMV: Ora per una domanda piu’ leggera. Dov’e’ il suo posto preferito a Hanover?

GP: Il mio posto preferito a Hanover… Boh. Forse un ristorante.

JMV: Quale ristorante?

GP: Mi piace molto Base Camp, un ristorante nepalese vicino a un ristorante cinese. Ma mi piace anche Market Table, o Pine Inn.

JMV: Grazie mille Professoressa… Non ho piu’ domande per Lei.

 

La Professoressa Parati, un cittadino del mondo, crede che Hanover offra un’esperienza unica per tutti. Allo stesso tempo, comunque, Lei mi ha dato l’impressione che Hanover sia un oasi, separato dalla realta’. Noi che viviamo qui siamo privilegiati in molti sensi, per esempio, abbiamo la diversita’ degli immigrati senza i problemi sociali ed economici. Anche lei ha parlato dell’idea che “la casa” non debba essere necessariamente un posto, ma potrebbe anche essere un sentimento. Dopo aver riletto l’intervista, ho realizzato che non ho chiesto come la sua conoscenza dell’immigrazione influenza la sua opinione di Hanover. Questo fatto sarebbe utile per capire la sua prospettiva.